Ombra e fortuna: Capitolo 4

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Ombra e fortuna: Capitolo 1CAPITOLO QUATTRO

Non è morta, Strani compagni di letto, Di nuovo in movimento

 

Parte I

 

La fine del ponte soffocava in una malsana luce verde. Il Carceriere nascondeva i lineamenti dietro un cappuccio putrescente, ma la luce della sua lanterna faceva intravedere carni straziate e prive di emozione, salvo un sadico piacere.Si muoveva senza peso, come tutti i suoi simili. Gemiti di dolore scaturivano dalle sue vesti a ogni movimento. Thresh sollevò impercettibilmente il volto e Lucian intravide il rifesso di un sorriso fatto di denti troppo aguzzi e ricco di aspettativa.

‘Mortale.’ disse Thresh, gustando le parole come fossero zucchero.

Lucian si inginocchiò e recitò il mantra della limpidezza per preparare la sua anima alla battaglia imminente. Aveva sognato questo momento migliaia di volte e ora la sua bocca era secca, i palmi sudati.

‘Hai ucciso Senna.’ disse alzandosi e sollevando la testa. ‘L’unica persona che mi rimaneva al mondo.’

‘Senna…?’ disse Thresh, un suono umido e gorgogliante, emesso da una gola martoriata da un cappio.

‘Mia moglie.’ disse Lucian, sapendo che non avrebbe dovuto parlare. Ogni parola era un’arma che poteva rivolgersi contro di lui. Le lacrime gli offuscarono la vista, il dolore spazzò qualsiasi preparazione e logica. Sollevò il medaglione d’argento che portava al collo e lo aprì, cercando all’interno la furia dovuta a ciò che aveva perso.

Thresh sorrise. I denti luccicavano come aghi. Toccò il vetro della lanterna con un’unghia ingiallita.

‘Mi ricordo di lei.’ disse. ‘Un’anima così piena di vita. Non ancora svuotata e fredda. Pronta per il tormento. In lei fioriva la speranza in una nuova vita, sai. Fresca, giovane, come un fiore in primavera. È fin troppo facile strappare e distruggere i portatori di sogni.’

Lucian alzò le pistole.

‘Se ti ricordi di lei, allora ti ricordi di queste.’ disse.

Il sorriso sotto al cappuccio non vacillò.

‘Le armi di luce.’ disse.

‘E la luce è il nemico naturale dell’oscurità.’ disse Lucian incanalando nelle sue pistole tutto il suo odio.

‘Aspetta.’ disse Thresh, ma Lucian aveva aspettato abbastanza.

Lasciò partire due colpi accecanti.

Un’esplosione di puro fuoco avvolse il Carceriere. Le sue urla erano musica per le orecchie di Lucian.

Le grida si trasformarono in una risata isterica.

Una nube di oscurità scaturì da Thresh, fu attratta all’interno della lanterna e lo lasciò indenne.

Lucian fece di nuovo fuoco, una tempesta di colpi dalla mira perfetta, tutti sprecati. Ogni colpo si dissipò contro una foschia di energia oscura emessa dalla lanterna.

‘Sì, mi ricordo di quelle armi.’ disse lo spettro. ‘Ho strappato il loro segreto dalla sua mente.’

Lucian era pietrificato.

‘Cos’hai detto?’

Thresh rise, un raschio ansimante e logoro.

‘Non lo sapevi? Dopo tutto quello che l’ordine rinato ha scoperto su di me, non l’hai mai sospettato?’

Lucian sentì il gelo del terrore prendergli la pancia. Un orrore che non aveva mai affrontato per la paura di impazzire.

‘Non è morta.’ continuò Thresh, sollevando la lanterna.

Nelle sue profondità Lucian vide spiriti torturati.

Thresh sorrise. ‘Ho strappato la sua anima e l’ho conservata.’

‘No…’ disse Lucian. ‘L’ho vista morire.’

‘Sta ancora urlando nella mia lanterna.’ disse Thresh, avvicinandosi a ogni parola strozzata. ‘Ogni momento della sua esistenza è una dolce agonia. Ascolta… riesci a sentirla?’

‘No.’ singhiozzò Lucian, lasciando che le sue antiche pistole cadessero sulle pietre del ponte.

Thresh gli girò attorno, le catene legate alla sua cintura che si annodavano al corpo di Lucian come serpenti. Gli uncini strapparono il cappotto, cercando la morbida carne.

‘La sua debolezza era la speranza. L’amore la sua rovina.’

Lucian fissò i lineamenti devastati di Thresh.

I suoi occhi erano vuoti, buchi neri sul nulla.

Qualsiasi cosa fosse stata Thresh in vita, non rimaneva più niente. Nessuna empatia, nessuna pietà, nessuna umanità.

‘Tutto è agonia e sofferenza, mortale.’ disse il Carceriere, prendendo Lucian per il collo. ‘Non importa dove fuggi, l’unica cosa che rimane è la morte. E prima di lei, ci sono io.’

 

Parte II

 

Miss Fortune sentiva il cuore pulsarle in gola mentre correva verso il tempio. I polmoni inspiravano velocemente e nelle vene il sangue scorreva gelido. Spirali di nebbia stavano raggiungendo la pietra del tempio, attratti dalla presenza dei due signori dei non morti. Lampi di luce esplodevano dietro di lei, ma non si voltò. Sentì il rimbombo degli zoccoli sulla roccia, scintille volavano sopra di loro nell’oscurità.Poteva immaginare il fiato dei destrieri fantasma sul suo collo.

La schiena tra le scapole bruciava nel punto dove si aspettava di essere pugnalata da una lancia spettrale.

Aspetta, come possono emettere scintille, se sono fantasmi?

L’assurdità del pensiero la fece scoppiare a ridere e stava ancora ridendo quando sbatté contro le porte di legno deformate del tempio. Rafen e la sua banda erano già arrivati e stavano prendendo a pugni e calci l’ingresso.

‘Nel nome della Donna Barbuta, fateci entrare!’ urlò.

All’arrivo di Miss Fortune sollevò lo sguardo.

‘Le porte sono chiuse.’ disse.

‘Lo vedo.’ Rispose lei, afferrando il ciondolo che le aveva dato Illaoi. Appoggiò la mano alla porta, premendo il corallo contro il legno.

‘Illaoi!’ gridò. ‘Sono pronta a schiacciare il collo di quella maledetta anguilla. Apri questa dannata porta!’

‘Anguilla?’ disse Rafen. ‘Quale anguilla? Di cosa stai parlando?’

‘Non importa.’ Disse di scatto, picchiando con il pugno contro il legno fino a sanguinare. ‘Penso fosse una metafora.’

La porta si aprì verso l’esterno come se fosse stata aperta per tutto quel tempo. Miss Fortune fece un passo indietro per permettere ai suoi combattenti di entrare per primi e infine si voltò.

Hecarim colpì con il falcione mirando alla sua testa.

Una mano la prese per il colletto e la tirò con forza. La punta dell’arma passò a un centimetro dalla sua gola.

Cadde pesantemente all’indietro.

Illaoi occupava l’ingresso, l’idolo di pietra esposto davanti a lei come uno scudo. Una nebbia bianca lo avvolgeva come un fuoco di Sant’Elmo.

‘Qui i morti non sono i benvenuti.’ disse.

Rafen e gli altri chiusero la porta e la sbarrarono appoggiando una trave di quercia stagionata alle ancore ai due lati. Qualcosa di enorme impattò contro la porta.

Nel legno apparvero fenditure e volarono schegge.

Illaoi si voltò e superò Miss Fortune, ancora sdraiata su un pavimento composto da un mosaico di conchiglie e frammenti di terracotta.

‘Ti sei presa il tuo tempo, ragazza.’ disse mentre Miss Fortune si rialzava. Nel tempio c’erano almeno duecento persone, forse di più. Vide una grossa fetta degli abitanti di Bilgewater: nativi, pirati, mercanti e feccia di mare assortita, assieme a viaggiatori abbastanza sfortunati o stolti da aver attraccato così vicino alla Mietitura

‘La porta reggerà?’ chiese.

‘O reggerà, o non reggerà.’ disse Illaoi dirigendosi verso una statua dai molti tentacoli che si trovava al centro del tempio. Miss Fortune cercò di capire come fosse fatta, ma rinunciò quando si rese conto che gli occhi si perdevano in quel mare di spirali e curve.

‘Questa non è una risposta.’

‘È l’unica che ho.’ disse Illaoi, appoggiando il suo idolo in un avvallamento della statua. Iniziò a muoversi in circolo attorno a essa, battendosi i pugni sulle cosce e sul petto a ritmo. Le persone nel tempio si unirono a lei, battendo le mani contro la pelle nuda, pestando i piedi e parlando in una lingua che le risultava incomprensibile.

‘Cosa stanno facendo?’

‘Restituiamo movimento al mondo.’ disse Illaoi. ‘Ma ci serve tempo.’

‘Lo avrete.’ promise Miss Fortune.

 

Parte III

 

Lucian senti gli uncini spettrali martoriargli la carne, più freddi del ghiaccio del nord e due volte più dolorosi. La mano del Carceriere si chiuse sulla sua gola e la sua pelle bruciò al contatto con lo spettro. Sentì le forze abbandonarlo, il cuore rallentare.Thresh lo sollevò da terra e alzò la lanterna pronta a ricevere la sua anima. Luci lamentose si agitavano, volti e mani spettrali premevano contro il vetro.

‘Ho cercato la tua anima a lungo, cacciatore d’ombre.’ disse Thresh. ‘Ma solo ora è pronta per essere raccolta.’

La vista di Lucian si annebbiò ai bordi, la sua anima si stava separando dal corpo. Fece resistenza, ma il Carceriere aveva raccolto anime per un tempo inenarrabile e conosceva meglio di chiunque altro il suo mestiere.

‘Sforzati di più.’ disse Thresh con appetito mostruoso. ‘L’anima brilla di più se combatti.’

Lucian cercò di parlare, ma non riuscì a emettere parole, solo un sottile respiro bianco che trasportava la sua anima.

Una falce brillò nell’aria sopra Lucian, una mietitrice d’anime inzuppata di omicidio. La lama vibrava di attesa.

Lucian…

Quella voce. La sua voce.

Amore mio…

La lama di Thresh ruotò per trovare l’angolazione migliore per strappare la sua anima alla carne.

Lucian riprese fiato e vide un volto all’interno del vetro della lanterna. Un volto tra migliaia, ma con più motivazione degli altri.

Labbra carnose, grandi occhi a mandorla che lo imploravano di vivere.

‘Senna…’ singhiozzò Lucian.

Lascia che sia il tuo scudo.

Capì subito cosa intendeva.

Il collegamento tra loro era forte come quando cacciavano le creature dell’oscurità fianco a fianco.

Con le sue ultime forze Lucian alzò la mano e si strappò il medaglione dal collo. L’argento della catena brillò alla luna.

Il Carceriere capì che qualcosa non andava e sibilò con rabbia.

Lucian fu più veloce.

Fece ruotare la catena come una fionda, ma invece che lasciar partire un proiettile di piombo, la fece avvolgere attorno al braccio che teneva la lanterna. Prima che Thresh potesse togliersela di dosso, Lucian estrasse il punteruolo d’argento dalla guaina nel cappotto e lo conficcò nel polso dello spettro.

Il Carceriere emise uno strillo di dolore, una sensazione che non sentiva da millenni. Lasciò cadere Lucian e si contorse agonizzando mentre le anime intrappolate nella lanterna finalmente potevano rivalersi sul loro torturatore.

Lucian sentì l’anima tornare nel suo corpo e inspirò a grandi boccate, come un uomo che sta per affogare e raggiunge la superficie.

Presto, amore mio. È troppo potente…

La vista gli torno più nitida che mai. Lucian raccolse da terra le pistole. Per un momento vide il volto di Senna nella lanterna e lo incise nel suo cuore.

Quel volto non si sarebbe mai annebbiato nei suoi ricordi.

‘Thresh.’ disse prendendo la mira.

Il Carceriere sollevò lo sguardo, il vuoto dei suoi occhi in fiamme per la rabbia causata dal tradimento delle sue anime. Fissò Lucian e rivolse la lanterna verso di lui, ma ormai non aveva più alcun potere.

Lucian sparò una sequenza di colpi perfetti.

Le vesti del Carceriere furono trapassate e il suo spirito si incendiò in un inferno di luce accecante. Lucian camminò verso Thresh, le armi gemelle che sparavano senza sosta.

Gridando per il dolore il Carceriere arretrò dal fuoco di fila di Lucian, la sua forma spiritica ora vulnerabile all’antico potere delle armi.

‘La morte è venuta per te’, disse Lucian. ‘Accoglila, con la consapevolezza che io farò in modo che sia definitiva.’

Thresh emise un ultimo ululato prima di gettarsi dal ponte, cadendo come una cometa sulla città sottostante.

Lucian lo osservò cadere fino a quando non fu inghiottito dalla Nebbia Oscura.

Cadde sulle ginocchia.

‘Grazie, amore mio.’ disse. ‘La mia luce.’

 

Parte IV

 

Le pareti del tempio tremarono per la violenza dell’assalto. La Nebbia Oscura filtrava tra le tavole irregolari e dalle crepe nel vetro delle finestre. La struttura della porta tremò. Artigli di nebbia squarciavano il legno. Urla echeggiavano mentre un vento ululante aggrediva il tetto.‘Laggiù!’ gridò Miss Fortune. Un gruppo di creature di nebbia dagli occhi fiammeggianti era entrato da un’apertura in una sezione della parete composta da casse da tè di Ionia.

Si gettò in mezzo agli spettri. Era come tuffarsi senza vestiti in un buco tagliato in un lago ghiacciato. Anche il più lieve contatto con i morti toglieva calore e vita.

Sentiva il calore bruciante del ciondolo di corallo sulla pelle.

Colpì le creature con la spada e sentì di nuovo la stessa resistenza alla sua lama. I proiettili non avevano effetto sui morti, ma quest’arma demaciana poteva ferirli. Arretrarono, gridando e soffiando.

I morti possono provare paura?

La risposta sembrava positiva, fuggivano di fronte alla lama scintillante. Non li lasciò andare, iniziò a pugnalare e colpire la nebbia appena questa penetrava.

‘Adesso! Correte!’ gridò.

Sentì il grido di un bambino. Lo raggiunse nel momento in cui la nebbia stava per prenderlo. Si tuffò e lo afferrò tra le braccia, rotolando fino a un riparo. Gelidi artigli si conficcarono nella sua schiena e Miss Fortune sussultò sentendo il freddo espandersi nel corpo.

Colpì alle sue spalle alla cieca e qualcosa di morto ululò.

Una donna nascosta dietro una panca ribaltata si allungò per prendere il bambino e Miss Fortune lo lasciò andare verso il riparo. Si rialzò in piedi, sentiva la debolezza dilagare nel suo corpo come un’infezione virulenta.

Era circondata dal suono delle armi da fuoco e dell’acciaio, da ululati di morte e grida di terrore.

‘Sarah!’ gridò Rafen.

Alzò lo sguardo e vide la barra di legno di quercia che chiudeva l’ingresso spezzarsi per il lungo. Rafen e una dozzina di uomini cercavano di contenere gli assalti spingendo con la schiena contro il legno, ma le porte stavano cedendo. Le crepe si stavano allargando e mani di nebbia cercavano di passare. Un uomo fu afferrato e le sue urla sparirono con lui.

Un altro cercò di aiutarlo e perse un braccio.

Rafen si girò e colpì con il pugnale nell’apertura.

L’arma gli fu strappata da una nube di artigli.

Un corpo urlante si gettò attraverso la porta ormai in pezzi e affondò le mani nel petto di Rafen. Il comandante in seconda urlò per il dolore, il volto impallidito.

Barcollò verso di lui, quasi senza forze. La sua lama tagliò le braccia spettrali e la creatura svanì stridendo. Rafen le cadde addosso e collassarono insieme nella navata.

Rafen respirava affannosamente, pallido tanto quanto lei.

‘Non morirmi così, Rafen!’ disse ansimando.

‘Ci vuole ben altro che dei morti per uccidermi.’ grugnì lui. ‘Quel bastardo mi ha solo stancato un po.’

Da qualche parte sopra di loro dei vetri si infransero. Spirali di Nebbia Oscura si addensarono, una massa ribollente di zanne, artigli e occhi affamati.

Miss Fortune cercò di rialzarsi, ma le gambe le bruciavano per la stanchezza. Digrignò i denti per la frustrazione. La sua compagnia era ridotta a pochi superstiti e le persone che si erano nascoste nel tempio non erano combattenti.

I morti stavano entrando.

Miss Fortune rivolse lo sguardo a Illaoi.

La sacerdotessa era circondata dalla sua gente, continuavano a muoversi in cerchio attorno alla statua, battendosi il petto e il corpo. Non sembrava esserci alcun risultato utile. La strana statua rimaneva impassibile.

Cosa si aspettava, che prendesse vita e sconfiggesse i morti, come un golem di ferro di Piltover?

‘Qualsiasi cosa state facendo, fatela più in fretta!’ gridò Miss Fortune.

Una parte del tetto fu strappata e gettata nella tempesta che circondava il tempio. Un vortice di spiriti si precipitò all’interno e si schiantò come un uragano. Spettri e cose che sfuggivano alla comprensione uscivano dal vortice e cadevano sui viventi.

La porta cedette e si schiantò verso l’interno, le travi seccate e fatte marcire dal tocco dei morti. Il suono terribile di un corno da caccia riempì il tempio e Miss Fortune si coprì le orecchie per ripararsi dall’eco assordante.

Hecarim entrò nel tempio, schiacciando gli uomini che avevano difeso le porte con i loro corpi. Le loro anime furono assorbite dal falcione dell’Ombra della Guerra. Le fiamme della sua lama illuminarono il tempio con uno splendore ripugnante. I cavalieri della morte lo seguivano e gli spiriti già penetrati nel tempio arretrarono, per rispetto della terribile gloria di Hecarim.

‘Ho detto che qui i morti non sono i benvenuti.’ tuonò Illaoi.

Miss Fortune alzò lo sguardo e vide che la sacerdotessa la sovrastava, imponente e maestosa. Una luce pallida la avvolgeva e brillava sulla tavoletta di pietra che reggeva con mani tremanti. Le vene del collo erano talmente gonfie da sembrare gomene, la mandibola tesa per lo sforzo. Il sudore le correva lungo il volto.

Qualsiasi cosa stesse facendo Illaoi, le costava uno sforzo enorme.

‘Queste anime mortali mi appartengono.’ disse Hecarim e Miss Fortune arretrò di fronte alla voce metallica.

‘Non è vero.’ disse Illaoi. ‘Questa è la casa di Nagakabouros, che si oppone ai morti.’

‘I morti avranno ciò che spetta loro.’ disse Hecarim, abbassando il falcione e puntandolo verso il cuore di Illaoi.

La sacerdotessa scosse la testa.

‘Non oggi.’ disse. ‘Non finché respiro.’

‘Non puoi fermarmi.’

‘Oltre che morto, sei anche sordo.’ rispose Illaoi sorridendo mentre dietro di lei la luce si faceva più forte. ‘Non ho mai detto che sarei stata io a fermarti.’

Miss Fortune si voltò e vide che la statua era avvolta da un bagliore accecante. Una luce bianca fluiva dalla superficie e le ombre arretravano evitando di toccarla. Si coprì gli occhi nel momento in cui la luce si gonfiava e si gettava contro la Nebbia Oscura, dissolvendola ed esponendo le anime tormentate al suo interno. La luce attrasse gli spiriti, purificandoli dalla magia malevola che li aveva costretti alla non-morte così tanto tempo fa.

Si sarebbe aspettata delle grida, ma i morti liberati piangevano di gioia, le anime finalmente libere. La luce raggiunse le pareti crepate del tempio; quando la toccò, Miss Fortune emise un grido.

La luce di Nagakabouros si strinse attorno a Hecarim e Miss Fortune vide il suo terrore al pensiero di quale trasformazione avrebbe potuto subire.

Cosa potrebbe essere così terribile da preferire una maledizione?

‘Puoi essere libero, Hecarim.’ disse Illaoi, la voce portata al limite dello sforzo da ciò che aveva scatenato. ‘Puoi progredire, vivere nella luce come l’uomo che hai sempre sognato di essere prima che il suo dolore e la sua follia ti rendessero così.’

Hecarim ruggì e colpì con il falcione verso il collo di Illaoi.

La lama di Miss Fortune lo intercettò in un’esplosione di scintille. Scosse la testa.

‘Via dalla mia città.’ disse.

La lama di Hecarim arretrò per colpire di nuovo, ma prima che potesse farlo la luce perforò il suo velo di oscurità. Gridò per il dolore e arretrò di fronte a quel tocco bruciante. La sagoma del cavaliere oscuro tremò, come due immagini proiettate dalla luce di una candela sullo stesso sfondo.

Miss Fortune intravide un cavaliere imponente, coperto da un’armatura di oro e argento. Un uomo giovane, bellissimo e orgoglioso, dagli occhi scuri e un futuro glorioso davanti a sé.

Cosa può essergli successo?

Hecarim emise un ruggito e scappò galoppando dal tempio.

I cavalieri della morte e l’oscurità lo seguirono, lasciando una scia di spiriti urlanti.

 

Parte V

 

La luce di Nagakabouros si diffuse su Bilgewater come un’alba. Nessuno dei presenti aveva mai visto niente di così dolce; i primi raggi dopo una tempesta, il primo calore dopo un rigido inverno.La Nebbia Oscura si ritirò di fronte a essa, un maelstrom urlante di spiriti in preda al panico. I morti si rivoltarono gli uni contro gli altri: alcuni cercavano di tornare da dove erano venuti, mentre altri desideravano la liberazione della luce.

Sulla città cadde il silenzio. La Nebbia Oscura si ritirò sull’oceano, diretta verso il suo dominio di isole maledette.

L’alba vera e propria si alzò dall’orizzonte a est, un vento purificatore attraversò la città e gli abitanti di Bilgewater tirarono un sospiro di sollievo collettivo.

La Mietitura era finita.

 

Parte VI

 

Il tempio era avvolto dal silenzio; la totale assenza di suoni era in netto contrasto con il caos di poco fa.‘È finita.’ disse Miss Fortune.

‘Fino alla prossima volta.’ disse Illaoi stancamente. ‘La fame della Nebbia Oscura brucia come una malattia.’

‘Che cosa hai fatto?’

‘Quello che dovevo.’

‘Qualsiasi cosa fosse, grazie.’

Illaoi scosse la testa e poggiò un braccio possente sulle spalle di Miss Fortune.

‘Ringrazia la dea.’ disse Illaoi. ‘Fai un’offerta. Qualcosa di importante.’

‘Lo farò.’ disse Miss Fortune.

‘Ti conviene. Il mio dio non apprezza le promesse non mantenute.’

La minaccia velata era fastidiosa e per un attimo ebbe la tentazione di piantare un proiettile in fronte alla sacerdotessa. Prima che potesse pensare di prendere le pistole, Illaoi si accasciò come una vela strappata. Miss Fortune cercò di afferrarla, ma era troppo massiccia per reggerla da sola.

Caddero insieme sul pavimento di conchiglie.

‘Rafen, aiutami a tirarla su.’ disse Miss Fortune.

Insieme appoggiarono Illaoi a una delle panche spezzate, sbuffando per lo sforzo di sollevare quella figura colossale.

‘La Donna Barbuta emerge dal mare…’ disse Rafen.

‘Non puoi essere sempre così stupido.’ disse Illaoi. ‘Ho detto che Nagakabouros non vive nel mare.’

‘E allora dove vive?’ chiese Rafen. ‘Nel cielo?’

Illaoi scosse la testa e gli diede un pugno sul petto. Rafen fece una smorfia di dolore.

‘È lì che la troverai.’

Illaoi sorrise per la sua risposta ambigua e chiuse gli occhi.

‘È morta?’ chiese Rafen, sfregandosi il petto.

Illaoi gli diede una sberla.

Quindi iniziò a russare come un portuale dai polmoni malati.

 

Parte VII

 

Lucian era seduto sul bordo del ponte e osservava la città emergere dalla Nebbia Oscura. Aveva odiato Bilgewater a prima vista, ma aveva un certo fascino mentre il sole baciava i suoi tetti e li avvolgeva in una luce ambrata.Una città nuova, come ogni volta che la Mietitura si ritirava.

Un nome adatto a un momento così terribile, ma che portava solo una piccola parte del dolore da cui aveva origine. Chissà se qui qualcuno comprendeva la vera tragedia delle Isole Ombra?

E nel caso, perché avrebbe dovuto interessargli?

Si voltò sentendo il suono di passi che si avvicinavano.

‘La vista da quassù è piuttosto bella.’ disse Miss Fortune.

‘Ma solo da quassù.’

‘Sì, è proprio un nido di vipere.’ disse Miss Fortune. ‘Ci sono persone buone e persone cattive, ma ho cercato di far diminuire quelle cattive.’

‘A quanto sento, hai iniziato una guerra.’ disse Lucian. ‘Qualcuno potrebbe dire che è come bruciare una casa per uccidere un topo.’

Vide che si arrabbiò, ma solo per un momento.

‘Pensavo di fare il bene di tutti.’ disse, sedendosi a cavalcioni sul parapetto, ‘Ma le cose stanno peggiorando. Devo fare qualcosa a riguardo, a partire da ora.’

‘È per questo che hai affrontato la Nebbia Oscura?’

La donna meditò per qualche momento.

‘Forse non all’inizio.’ disse. ‘Uccidendo Gangplank ho liberato una lamanguilla e se non faccio qualcosa per rinchiuderla di nuovo, morderà un sacco di brava gente.’

‘Una lamanguilla?’

‘Quello che voglio dire è che quando ho destituito il Re dei Corsari non sapevo cosa sarebbe successo senza di lui. Non mi interessava.’ rispose. ‘Ma ora ho visto cosa succede laggiù senza qualcuno al comando. La città sta aggredendo la sua stessa gola. Bilgewater ha bisogno di una guida ferma. Non vedo perché non potrei essere io. La guerra è appena iniziata e l’unico modo in cui finirà è la mia vittoria.’

Passarono alcuni secondi in silenzio.

‘La mia risposta è no.’

‘Non ti ho chiesto niente.’

‘Stai per farlo.’ disse Lucian. ‘Vuoi che io rimanga e ti aiuti a vincere la guerra, ma non posso. La tua battaglia non è la mia battaglia.’

‘Potrebbe esserlo.’ disse Miss Fortune. ‘La paga è buona e potresti uccidere un sacco di persone cattive. Salvare anime innocenti.’

‘C’è solo un’anima che devo salvare.’ disse Lucian. ‘E non posso salvarla a Bilgewater.’

Miss Fortune annuì e gli porse la mano.

‘Allora posso solo salutarti e augurarti buona caccia.’ disse alzandosi e spolverandosi i pantaloni. ‘Spero tu possa trovare ciò che cerchi. Ricorda che ci si può perdere nella vendetta.’

Lucian la guardò tornare zoppicando verso le rovine del tempio. I superstiti stavano uscendo, sbattendo gli occhi alla luce del giorno. Miss Fortune pensava di sapere cosa lo spingeva, ma non aveva capito nulla.

Vendetta? Era un sentimento che aveva superato da molto.

La sua amata era prigioniera di uno spettro non-morto, una creatura antica che capiva la sofferenza come nessun altro.

Miss Fortune non poteva capire nulla del suo dolore.

Si alzò e guardò verso il mare.

L’oceano ora era calmo, una distesa color smeraldo.

La gente stava già scendendo verso i moli per riparare le navi e ricostruire le case. Bilgewater non si fermava mai, anche all’indomani della Mietitura. Osservò la foresta di alberi ondeggianti, cercando una nave non troppo danneggiata. Forse poteva trovare un capitano abbastanza disperato da portarlo dove voleva.

‘Sto arrivando, luce mia.’ disse. ‘E ti libererò.’

 

Parte VIII

 

Il pescatore grugnì mentre girava l’argano di poppa per portare a bordo l’uomo imponente. La corda era sfilacciata e il pescatore sudava nell’aria gelida mentre ruotava la manovella.‘Per le setole del suo mento barbuto, sei un grosso bastardo, proprio così!’ disse afferrando l’armatura dell’uomo con un uncino e trascinandolo sul ponte. Si guardava attorno con circospezione, tenendo d’occhio eventuali predatori sopra o sotto la superficie dell’acqua.

Appena la Nebbia Oscura si era ritirata oltre l’orizzonte, decine di navi erano uscite in mare. Le acque erano ricche di bottino e se non eri rapido, restavi a mani vuote.

Aveva visto per primo l’uomo alla deriva e aveva già dovuto respingere sei topi di fogna che cercavano di raggiungerlo. Che fosse dannato se avesse permesso a feccia dei moli come loro di sottrargli il bottino.

L’uomo andava alla deriva su un letto di ciò che sembravano i resti di un gigantesco krakenwyrm. I tentacoli erano gonfi di gas nocivi che avevano tenuto a galla la pesante armatura.

Fece cadere la preda sul ponte e lo stese lungo la murata prima di osservare con attenzione il suo corpo.

Una cotta di maglia d’acciaio, stivali di pelliccia, ma soprattutto una stupenda ascia annodata alle cinghie dell’armatura.

‘Oh sì, mi frutterai qualche buon kraken, bellezza.’ disse ballando una giga felice sulla sua barca. ‘Proprio qualche gustoso kraken!’

L’uomo tossì, sputando acqua salmastra.

‘Sono ancora vivo?’ chiese.

Il pescatore smise di ballare e fece scivolare la mano verso il coltello che portava alla cintura. Lo usava per squartare i pesci: non c’era motivo per cui non avrebbe dovuto usarlo per tagliare una gola. Non sarebbe stata la prima persona aiutata nel suo viaggio verso la Donna Barbuta da uno spazzino in cerca di bottino.

L’uomo aprì gli occhi.

‘Tocca di nuovo quel coltello e ti taglierò in più pezzi di questo maledetto krakenwyrm.’

FINE